MIHAI EMINESCU

LUCIFERO
traducere de Sauro Albisani
(din volumul Mihai Eminescu - Poesie/Poezii, Pontica 2000)

 

Ci fu come nelle leggende,
ci fu una volta sola,
di celebri re discendente
una splendida figliola.

Unica in mezzo ai suoi parenti,
bella come nessuna,
come la Vergine fra i santi,
fra le stelle la luna.

Dall’ombra dei vasti soffitti
s’allontana, si sporge
a una bifora: nei suoi tragitti
Lucifero la scorge.

Guarda di lassu come invade
il mar della sua luce
e lungo le liquide strade
nere chiglie conduce.

Gli occhi al cielo ogni giorno protesi,
alla voglia soggiace;
e anche lui che la fissa da mesi,
la ragazza gli piace.

Quando sopra i suoi gomiti china
come in sogno le tempie,
nel cuore la voglia s’insinua
e l’anima riempie.

Egli sembra di luce piu bella
ogni notte avvampare
quando dentro il suo tetro castello
lei nell’ombra gli appare.

Nella stanza, seguendo dappresso
la donna, s’introduce,
coi suoi gelidi strali egli tesse
una rete di luce.

E quando si stende sul letto
la ragazza, e sbadiglia,
le sfiora le mani sul petto
e le chiude le ciglia.

Un raggio lo specchio precipita
sopra il corpo supino,
sui grandi occhi che palpitano,
sul suo volto reclino.

Lei lo guarda con un sorriso,
nello specchio, che spasima,
giacche la rincorre deciso
a catturarle l’anima.

Gli parla nel sogno con rotti
sospiri profondi:
«Signore delle mie notti,
perche non vieni? Scendi!

Quaggiu! soave Lucifero, scendi,
su di un raggio precipita,
la mia casa la mia anima prendi,
rischiara la mia vita!»

Lui l’ascolta tremante,
gia piu fulgido appare,
rapido in un istante
s’inabissa nel mare;

E l’acqua dov’egli e caduto
vortica a mulinello
e dall’abisso sconosciuto
esce un giovane bello.

Poi lieve attraversa il vetro
della finestra come una soglia
e tiene nel pugno uno scettro
circondato di foglie.

Un giovane voivoda pare
dai soffici capelli,
indossa un grigio sudario
sopra le nude spalle.

Ahi l’ombra della sua effigie
e come un cereo stampo -
un morto dagli occhi vigili
che mandano un lampo.

«Fu arduo udendo il tuo appello
dalla mia sfera arrivare,
poiche padre m’e il cielo
e madre il mare.

Per giungere al tuo luogo
a guardarti dappresso
son sceso dal mio firmamento
e dal mar sono riemerso.

Oh vieni! tesoro mio solo,
abbandona ogni cosa!
io sono Lucifero in cielo,
tu sarai la mia sposa.

Lassu nel palazzo superno
vivrai per l’eternita
e tutto l’immenso oceano
a te obbedira».

«Sei bello, siccome nei sogni
un angelo puo apparire,
ma lungo la via che m’insegni
non ti potro seguire;

Straniero all’aspetto ed al volto
non han vita i tuoi raggi,
che io sono viva, e tu morto,
e il tuo sguardo mi ghiaccia».

Passa un giorno, ne passan tre,
ed ecco a notte viene
Lucifero sopra di lei
coi suoi raggi sereni.

Di lui forse, ad un tratto, nel sogno
l’assaliva il ricordo,
e il re delle onde agogna
dai profondi precordi:

«Quaggiu! soave Lucifero, scendi,
su di un raggio precipita,
la mia casa la mia anima prendi,
rischiara la mia vita!».

S’estinse dal grande dolore
com’egli in ciel l’udi
e il cielo comincia a ruotare
ove l’astro peri.

Nell’aria una fiamma rubente
il pianeta squaderna,
dal regno del caos, risplendente
un bel volto s’incarna.

Sui neri capelli ha cinto
un diadema che sembra bruciare,
avanza fluttuando sospinto
dalla fiamma solare.

Dal nero mantello gli sortono
marmoree le braccia,
avanza tristissimo, smorto,
e pallido in faccia;

Ma gli occhi grandi e magici
brillan ne’ loro spechi,
due tormenti selvaggi
chimerici e ciechi.

«Soltanto con grande dolore
io lasciai la mia sfera
poiche padre m’e il sole
e madre la sera;

Oh vieni! tesoro mio solo
abbandona ogni cosa:
io sono Lucifero in cielo,
tu sarai la mia sposa.

Oh vieni, sui biondi capelli
porro serti di stelle,
perche tu risplenda nei cieli
piu fulgida di quelle».

«Sei bello, siccome nei sogni
un demone puo apparire,
ma lungo la via che m’insegni
non ti potro seguire!

Mi bruciano tutta i tuoi sguardi,
pel tuo crudele amore
m’angoscian quegli occhi maliardi,
duole nel petto il cuore».

«Ma come vuoi ch’io scenda
e a te mi faccia uguale,
che sono un essere eterno
mentre tu sei mortale?».

«Ignoro il linguaggio eletto,
non lo so proprio dire -
Benche tu dialoghi schietto,
non ti posso capire;

Se vuoi che con fede profonda
m’innamori di te,
discendi quaggiu nel mio mondo,
mortale come me».

«Ch’io abiuri la mia eternita
per un bacio reclami,
ma noto cosi ti sara
quanto t’ami;

Rinasco percio dal peccato,
un’altra legge accolgo;
io sono all’eterno legato,
adesso me ne sciolgo».

Di nuova va via… un’altra volta.
Per amor di una fanciulla
si strappa cosi dalla volta
celeste, piu giorni.

Intanto pero Catalino,
un paggio astuto ed abile
che riempie le coppe di vino
ai commensali a tavola,

il paggio che regge il mantello
della regina, al seguito
di chi l’adotto trovatello,
ma con lo sguardo illecito,

come due peonie rosse
le gote in quel visino,
ratto ratto s’apposta
a spiar Catalina.

Si fa bella come non mai,
lei, e fiera, la bruci il fuoco!
Eh via! Catalino, ora! dai!
rischia adesso il tuo gioco.

Lei passa e, in un canto, vicino
a se la stringe sagace.
«Su, basta! Che vuoi, Catalino?
Va’ via, lasciami in pace».

«Che voglio? vorrei non trovarti
sempre sempre in ambasce,
che ridessi piu spesso, e rubarti
per una volta un bacio».

«Che sono codeste richieste?
lasciami alla mia sorte -
Per Lucifero l’celeste
sento un diolo di morte».

«L’amore per filo e per segno
io ti vorrei mostrare
a patto che tu non ti sdegni
e ti lasci guidare.

Qual tende il caciatore all’uccellino
nel bosco il laccio,
se io tendo il braccio mancino
cingimi col tuo braccio;

e fissami gli occhi se vedi
che il mio sguardo t’invita...
sollevati in punta di piedi
se ti stringo la vita;

e quando il mio volto si china,
che il tuo resti levato,
e duri cosi senza fine
quello sguardo assetato;

perche dell’amore tu imperi
adesso ogni virtu,
appena mi chino a baciarti
baciami anche tu».

Ascolta il giovinetto
offesa e incuriosita,
pudibonda e civetta
lo respinge, lo invita.

E piano gli dice: «Da bambino
t’imparai a conoscere,
e scansafatiche e birichino
noi ci potremmo intendere...

Ma un astro ha abbandonato
la quiete dell’oblio,
il cielo sconfinato
del suo marino esilio;

e abbasso le ciglia furtiva
perche le bagna il pianto
se sento flottar l’onda viva
che va a morirgli accanto;

perche sia sconfitto il mio duolo
d’ognoto amore ei brilla,
ma sempre piu su, sale in volo,
ch’io non posso seguirlo...

Coi gelidi raggi s’esterna
dal suo mondo lontano
e l’amo in eterno e in eterno
mi rimarra lontano…

E lascio che i giorni mi passino
aridi come steppe,
ma odora la notte d’un fascino
che mai prima non seppi».
«Ancora tu sei bambinella…
fuggiremo alla busca,
ch’ogni orma di noi si cancelli,
nessuno ci conosca.

Entrambi saremo prudenti
e ilari e belli
e tu scorderai i tuoi parenti
e la voglia di stelle».

Si mosse Lucifero. L’ali
gli crebbero nel cielo,
brucio millenarďe calli
in un secondo solo.

Un mondo di stelle superno,
laggiu di stelle un mondo -
sembrava un lampo eterno
la in mezzo, vagabondo.

Vedeva d’intorno dai gorghi
del caos guizzare,
come accadde ai primordi,
immense luminare;

ed ecco nascendo l’accerchiano
come un mare… e lui vola, nuota,
pensier che la voglia soverchia,
fin quando scompare nel vuoto;

che giunge ove non c’e frontiera
ne occhio che s’orienti,
e invano anche l’attimo spera
di nascere dal niente.

E il niente, ed e nondimeno
la sete che l’arde e travia,
e un abisso
simile al cieco oblio.

«Dal peso dell’orrido eterno
se m’avrai liberato,
nei secoli a te si prosterni,
Padre, tutto il creato;


ogni cosa, Signor, mi puoi chiedere
ma dammi un’altra sorte,
o tu che sei fonte dell’essere
e datore di morte;

ah questo immutabile nimbo
ritoglimi e il fuoco allo sguardo,
e dammi soltanto in cambio
un attimo d’ardore…

Nel caos, Signore, io giacqui,
rigettami nel caos…
e se dal riposo io nacqui,
ho sete di riposo».

«O tu che da fonde voragini
sorgi col mondo intero,
non chiedere segni e miraggi;
sono solo chimere;

tu dunche vorresti farti uomo,
assomigliarti a loro?
Ma quelli se muoiono a sciami,
ne nasceranno ancora.

E durano quanto nel cielo
qualche vuoto ideale -
Se l’onda incontra un avello
ecco un’altr’onda uguale;

soltanto le stelle hanno amiche,
schiavi della sorte:
senza tempo ne spazio noi neanche
conosciamo la morte.

Dal seno dell’ieri immortale
nasce l’ora che fugge,
se un sole nel cielo scompare
un altro sole sorge;

e se anche ora sembri risorto
poi la morte lo pasce,
che nata ogni cosa alla morte
morira per rinascere.

Tu solo, Iperione, tu solo
identico tramonti…

Mi chiedi - mia prima parola
- che ti faccia sapiente?

Tu vuoi che ti dia una voce
che a sentirla cantare,
si muovano i boschi e le rocce
e l’isole del mare?

Vuoi forse mostrar se si puo
esser giusto eppur fiero?
La terra in frantumi ti do
perche tu abbia il tuo impero.

Ogni sorta di navi e di barche
e legioni ti do
perche i mari e le terre tu varchi,
la morte no…

E la morte com’e che t’allieta?
Ora volgiti e intendi
verso quel roteante pianeta:
guarda cio che t’attende!».

Nel luogo assegnatogli in cielo
Iperione ritorna
e piove cosi come ieri
il suo lume d’attorno.

Ed anche la notte imbruna
poiche la luce scema;
tranquilla rispunta la luna
sulla laguna tremula

e riempie di raggi e barbagli
gl’intricati viottoli.
Nascosti dall’ombra dei tigli
stan due giovani, soli:

«Oh lascia che il capo sul seno
io t’appoggi, amore,
al raggio dell’occhio sereno
e dolce da morire;

la loro luce diaccia
getta sui miei dilemmi,

spandi l’eterna pace
sui notturni patemi.

Lenisci il mio dolore,
sopra di me rimani,
tu che sei il primo amore
e l’ultimo domani».

Dall’alto Lucifero scorge
l’ebbrezza su quelle facce;
appena il suo braccio le porge
lei gli tende le braccia...

Odorano i fiori d’argento
in dolce pioggia s’effondono,
sul capo dei piccoli amanti
dai lunghi boccoli biondi.

Ma lei tutta presa d’amore
alza gli occhi. E vede
Lucifero. Senza parole
una grazia gli chiede:

«Quaggiu! soave Lucifero, scendi,
su di un raggio precipita,
la mia casa la mia anima prendi,
rischiara la mia vita!»

E lui come un tempo s’accende
sulle vette e sui boschi,
remoti deserti movendo
di rabide burrasche;

ne piu come allora e caduto
dentro il mare dall’alto:
«Che t’importa, figura di luto,
se saro io o un altro?

Nel circolo angusto vivendo
fortuna vi governa,
mentre io nel mio mondo mi sento
gelido ed eterno».


 

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